venerdì 24 aprile 2009

Vangelo degli Ebioniti


 

Uno sguardo sui primi 50 anni della chiesa

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Il vangelo degli Ebioniti – E’ un vangelo di cui non ci è giunto un testo significativo. Non sappiamo chi lo ha sctitto, nè dove, nè quando, nè la consistenza. Tutto ciò di cui disponiamo sono alcune citazioni, abbastanza tardive e frammentarie, di autori il cui intento era prevalentemente apologetico.

Questo ci porta subito a puntualizzare alcuni fatti: 1) le fonti di cui disponiamo sono “di parte”. Ireneo, Epifanio, Ippolito si prefiggevano di combattere quelle che loro, e I loro posteri, considerarono delle eresie da combattere, e le esigenze della polemica, si sa, sono se non diverse certo più limitate di quelle della storia. Anche se è banale, ma difficile da confutare, dire che la storia la scrivono i vincitori, occorre comunque utilizzare le loro affermazioni con prudenza.  2) questa connotazione di eresia attribuita al pensiero degli Ebioniti da parte di molti Padri  che vedevano nella loro dottrina un pericolo, e un atteggiamento ostile sia parte degli ebrei che da parte dei cristiani, ha fatto sì che le loro opere, con la dottrina proclamata, andassero perdute o, peggio, distrutte, lasciando agli storici il compito di menzionarne l’esistenza.

A questa mancanza di materiale primario che non consente una conoscenza diretta si cerca comunque di rimediare affidandosi alll’analisi dei “cocci archeostorici”. In tale intento occorre però avere l’onestà di non dimenticare che pur sempre di ricostruzione si tratta, cioè di una ricomposizione in un insieme logico e coerente  di frammenti  che, da soli, non possono rendere efficacemente la complessità della realtà originaria.

Fonti - Del Vangelo degli Ebioniti ne parla Epifanio (1), vescovo di Salamina in Cipro, che scrisse attorno al 374-77 il suo Panarion omnium haeresium (= Cassetta medica contro tutte le eresie), dove riferisce di un vangelo giudeo-cristiano in uso presso la setta eretica degli ebioniti, scritto in modo molto simile a quello canonico di Matteo ma distorto e incompleto, da loro chiamato anche Vangelo degli Ebrei o Vangelo ebraico. Ma già due secoli prima Ireneo (2), vescovo di Lione (180-200), anche lui intento a contrastare le eresie presenti e passate, aveva riferito, nel suo Smascheramento e confutazione della falsa gnosi, comunemente detto Contra Haereses scritto attorno al 180,  che gli Ebioniti usavano solo il vangelo di Matteo e rifiutavano gli scritti di Paolo attenedosi ad una minuziosa interpretazione e applicazione della Legge ebraica. In un altro passo questo vangelo sembra essere il “Vangelo degli Ebrei”, ma probabilmente si tratta del medesimo testo. A Ireneo fa eco il contemporaneo Ippolito (189-198 circa) che esprime in modo ancora più netto la loro fede nella efficacia della Legge come fonte di salvezza. (3). Meno polemico ma anche più ironico dei suoi precedessori, anche Eusebio (309-341) vescovo di Cesarea (4), la cui opera, Storia ecclesiastica risale al 303-325 e intende fornire informazioni sulle eresie, non si discosta da questa presentazione ponendo però l’accento sulla loro visione ristretta della personalità di Gesù.

Struttura culturale del gruppo – Anche se queste fonti più che di in Vangelo specifico si occupano prevalentemente del fenomeno e del pensiero degli Ebioniti, esse attestano chiaramente come gli Ebioniti disponessero di un Vangelo che, per quanto incompleto o “in bozza” costituiva pur sempre un’autorità. Considerare quindi gli Ebioniti ironicamente degli “ignoranti” (Origene) è troppo semplicistico , schematico e riduttivo. E’ invece probabile che tra costoro ci fossero anche persone istruite e di cultura che trascrissero le loro convinzioni, o le narrazioni raccolte dalla parola di un apostolo, testimone oculare, per fornire al gruppo un punto di riferimento solido e caratterizzante, che permettesse loro di distinguersi da altri gruppi che si stavano formando attorno a idee e pratiche differenti. Tali “appunti”, che codificanono la loro individualità o il loro particolare modo di vivere la fede in Gesù, come detto, sono andati purtroppo perduti. Soffermarsi sui soli pochi brani, riportati dai loro avversari con finalità polemica, significa focalizzarsi solo sulla parte discutibile del loro pensiero Ma per contro anche voler dar corpo a tutti i costi ad un possibile loro Vangelo è opera temeraria. E’ utile non dimenticare che l’ebionismo, ancor prima di un testo, fu uno stile di vita ispirato da una fede, stile che doveva necessariamente richiamarsi ad alcune norme codificate in modo più marcato di altre che già godevano di una tacita e indiscussa accettazione.

Il testo di riferimento – E’ noto che nel primo secolo i tutti gruppi proto-cristiani si coagulavano attorno ad uno scritto di riferimento, un testo che per provenienza diretta o per attribuirsi maggior autorità si richiamava solitamente ad un apostolo. Il senso di appartenenza per un gruppo è un elemento molto importante per la sua identità e, in un priodo in cui coesistevano diversi modi di vivere una fede dai contenuti ancora in formazione, un testo apostolico di riferimento costituiva un indiscutibile elemento di sicurezza e di fierezza. Il perdurare di questo stato di cose, che rischiava di spostare l’attenzione eclusivamente su aspetti particolari a discapito della verità di fondo, farà rabbiosamente e definitivamente dire a Paolo “smettiamola, noi non siano né di Paolo né di Pietro né di Apollo né di Cefa. Noi siamo di Cristo”. E lo spostamento di questa attenzione su Cristo (!) lo fece apparire ad alcuni, Ebioniti in primis, come un nemico.

 Per gli ebioniti questo testo, stanto alle notizie di Ireneo, era il Vangelo di Matteo. Ma quale Matteo, quello scritto attorno al 78-80 in greco? Probabilmente no. Per Eusebio Matteo prima predicò agli ebrei, poi, “quando stava per andare anche presso altri popoli, compose nella lingua patria il proprio vangelo, sostituendo con esse la sua presenza presso coloro che lasciava” (Storia Eccl. 3, 24, 6). E’ difficilmente contestabile che si tratti di un vangelo scritto tra gli ebrei, per gli ebrei, nella loro lingua. Forse era un Vangelo scritto in aramaico, dato che Gesù parlava in aramaico, o molto più facilmente era una raccolta in aramaico dei detti e dei gesti di Gesù, quelli che poi ritroviamo nel Matteo canonico. In altre parole: una stesura primordiale in aramaico operata dall’apostolo Matteo, quella cui fa riferimento Papia citato da Eusebio nella Storia Ecclesiastica 3,36,16. Comunque un testo diverso dal canonico Vangelo di Matteo scritto in greco. Un elemento interessante per un più ampio dibattito sulla Fonte Q, pane quotidiano degli studiosi.

Per delimitare subito il campo, gli unici frammenti che possono attribuirsi al Vangelo degli Ebioniti – di cui, lo si ripete, non disponiamo di alcuna documentazione primaria - sono quelli riportati in greco da Epifanio, (5). Sappiamo che iniziava tralasciando l’infanzia di Gesù (questa infatti contrastava con la negazione della nascita verginale che gli ebioniti sostenevano), e descriveva il battesimo al Giordano in un modo che lascia trasparire un influsso adozionista. Dal loro insieme sembra di poter cogliere un intento “sinottico”, cioè il tentativo di trovar una esposizione armonica e conciliativa  con il  racconto di altri vangeli di cui raccolgono sfumature diverse.

La presenza di questi due elementi “teologici” (Gesù uomo come tutti e sua adozione da parte di Dio), che appariranno in modo palese nel secondo secolo, ha permesso ad alcuni studiosi di avanzare l’ipotesi che colloca la stesura di questo testo (greco) appunto nel secondo secolo. Datazione questa certamente possibile. Ma se possiamo fissarne la compilazione di questo testo in greco tra il 120-150, altrettanto certamente possiamo presuppone l’esistenza di un documento più arcaico scritto forse in aramaico prima del 68, forse non molto corposo, forse leggermente diverso ed essenziale, come detto più sopra.

Altri Vangeli? – Ma vi è di più. Stando alle testimonianze dei Padri, contemporaneamente al Vangelo degli Ebioniti vengono citati anche altri Vangeli di cui non ci rimasto che il loro ricordo. Possediamo troppo pochi elementi per formulare una spiegazione adeguata. A prima vista non sembra che il Vangelo degli Ebioniti possa essere assimilato al Vangelo degli Ebrei (6) di cui parla Gerolamo nel suo Adversus Pelag. (3,2) (7), e si discute se sia il Vangelo dei Dodici cui fa accenno Origene (Omelia su Luca 1), opera che forse originariamente si chiamava Evangelo dei dodici apostoli secondo Matteo.

Ma Ireneo consente di formulare un’altra osservazione. Questo gruppo (setta per lui) esisteva ancora nel II secolo, dato che Ireneo scrive attorno al 170. Una domanda viene quindi spontanea: dopo oltre cento anni questo testo manteneva sempre i medesimi caratteri, era il medesimo libro, codificava la medesima fede delle origini? Probabilmente no. I gruppi hanno una vita dinamica e anche i loro caratteri identificativi se non si evolvono quantomeno si adattano, si precisano. Gli Ebioni non si possono essere sottratti a questa legge. Quanto ormai tra i cristiani del II secolo erano noti e diffusi i Quattro Vangeli, dei quali si ammetteva unanimemente l’autorità, anche gli ebioniti, divenuti una setta chiaramente differenziata da altri gruppi cristiani più consistenti, probabilmente “armonizzarono” il loro Vangelo di Matteo con gli altri sinottici. E’ forse per questa ragione che il loro Vangelo venne detto anche Vangelo dei Nazirei o Vangelo degli Ebioniti o degli Ebrei (9). Non è assurdo ritenere che in oltre cento anni di vita questo gruppo abbia più di una volta copiato i suoi testi originari  fornendo, diremmo oggi, delle edizioni riviste e aggiornate sulla base di altri documenti in circolazione. E’ probabile che si trattasse non di testi diversi ma di versioni diverse di un unico testo originario, senza per questo nulla togliere alla propria individualità. Storici con un intento diverso da quello di una fedele ricostruzione del testo, e due secoli dopo, non devono essersi molto preoccupati di usare indifferentemente l’epiteto “degli Ebioniti” “degli Ebrei” “dei docici” ecc. per descriverne l’identità. Quello che a loro interessava era ladottrina, una dottrina “eretica”.

Quale identità? – Quella indiscutibile di Ebrei seguaci di Gesù. Sempre sulla scorta di quanto dicono i Padri, riportando alcuni brani del Vangelo degli ebioniti avevano una posizione teologica precisa. 1) Gesù era ebreo ed era consierato il Messia mandato da Dio al popolo ebraico  per realizzare la sua salvezza, una salvezza che era quindi riservata a questo popolo, agli ebrei. Fare una scelta per Gesù significava scegliere di essere ebrei, di rispettare la legge ebraica, i cibi e le tradizioni ebraiche, ciconcisione compresa. Gerusalemme e l’Allenza del Tempio era e rimaneva la stella verso cui guardare.

2) un Gesù diverso dai sinottici. Pienamente e solo uomo, era il risultato dell’unione sessuale dei suoi genitori, non di un concepimento verginale. Anche Figlio di Dio, sì, ma non per la sua natura divina o per nascita, bensì per la perfezione dimostrata nel rispettare la Legge, virtù questa che gli meritò alla fine di essere accettato da Dio come suo figlio e di ricevere da lui una missione speciale da attuare tra il popolo. Emblematico nel loro Vangelo doveva essere il brano del giovane ricco: se vuoi essere perfetto devi osservare tutti i comandamenti della Legge.

3) Proprio questo aspetto – la salvezza conseguita mediante l’osservanza della Legge – costituiva il motivo per una feroce opposizione al pensiero e alla predicazione di Paolo. Per Paolo la salvezza era frutto unicamente della morte di Gesù e non certo della Legge e dei suoi formalismi e questa morte aveva affrancato tutti gli uomini, ebrei e non, dalla schiavitù delle norme, rendendoli finalmente liberi mediante lo Soirito.  Paolo non poteva essere considerato se non il più acerrimo nemico degli ebioniti. Una bestia nera. Questa setta, pur vantandosi di avere come padre fondatore un apostolo, non riuscì ad evitare i suoi strali.

Importanza – Rigidamente ancorato a queste caratteristiche (ebraicità, preminenza della Legge, antipaolinità) e rifiutando il confronto dialettico con le altre correnti di pensiero cristiane, la setta finì per atrofizzarsi e a spegnere la sua potenza propulsiva uscendo a poco a poco dalla storia, che la rifiutò. I suoi testi sacri scomparvero per lasciare il posto a documenti più completi e affidabili. Il ricordo della loro testimonianza venne lasciato a pochi storici che ne fornirono solo scheletriche informazioni.

La loro esistenza tuttavia è ricca di significato. La loro attenzione per l’insegnamento morale di Gesù e le sue conseguenze di carattere sociale sono la testimonianza di un particolare aspetto della vita della Chiesa, della maturazione di un credo ancora in fase nascente, della difficoltà da parte di molti ebrei ad abbracciare una nuova forma di vita la cui dinamicità li portava ad abbandonare progressivamente il proprio ristretto ambito nazionale e ad aprirsi a prospettive nuove a più ampie. Rappresentano forse l’anima ebrea di Pietro e Giacomo che, in modo diametralmente opposto a quello di Paolo, non sanno rinunciare alle loro origini. Non dovevano essere una minoranza e neppure dovevano essere un solo gruppo monolitico, ma tutti erano convinti di credere nel Gesù autentico descritto a loro dall’autorità di un apostolo. La storia però diede loro torto, perché non seppero fare cone Abramo: “.. esci dalla tua terra e vai…”

Per una miglior comprensione dell’importanza e della diffusione di questo documento si è costretti ad amplire lo studio gettando uno sgrardo storico sul movimento degli Ebioniti e dei gruppi “giudeo-cristiani”, culla in cui lo scritto è nato. E questo ci riporta inevitabilmente ai primi decenni di vita della comunità cristiana. Come di fronte a un assasinio la polizia scientifica sa che il colpevole lascia sempre delle impronte e quindi va alla ricerca di indizi per farli parlare, così lo storico indaga sulle tracce che delineano lo scenario per ricostruire attorno al  colpevole moventi e situazioni.

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Il movimento degli Ebioniti – E’ utile precisare che l’esistenza di questo gruppo-setta copre almeno due secoli, se non di più. Dalla chiesa nella sua fase nascente a quella di codifica di una più precisa ortodossia. Volerle attrubuire una fisionomia netta e univoca, significherebbe volerla cristallizzare in un rigido e definito modo di pensare credere e vivere. Ciò contrasta con il concetto stesso di movimento, che esige una considerazione dinamica che tenga presente I possibili sviluppi a cui una fede è soggetta in una situazione di confronto-scontro con altre convinzioni analoghe del tempo, esse pure in formazione e divenire. I primi settanta anni di vita cristiana sono stati tutt’altro che sereni, pacifici, armonici come sembra vogliano farci credere gli Atti degli Apostoli (8).

Riprendendo quanto già detto sulle fonti patristiche è possibile sintetizzare alcune note caratteristiche degli Ebioniti. 1) erano dei “poveri” o per il loro pensiero o per lo stile di vita  2) facevano discendere le loro credenze da un apostolo, forse Matteo, di cui possedevano un testo aramaico primordiale e incompleto rispetto ai Sinottici  3) non credevano nella concezione verginale e nella divinità di Gesù 4) erano rigidamente  ancorati al’osservanza della Legge, unico strumento di salvezza, e a Gerusalemme 5) consideravano Paolo un eretico approdato a posizioni diametralmente opposte alle loro, in sostanza un nemico.

Sono “cocci” abbastanza significativi che meritano di essere ascoltati attentamente per ciò che hanno da dire sulle tensioni che animavano le prime comunità cristiane.

Perchè “ebioniti”? – Il termine Ebioniti è una espressione tarda usata per indicare una realtà molto coplessa e variegata. Lo si incontra per la prima volta attorno al 175 per designare una particolare setta eretica. Giustino (Dialogo con Trifone, anno 140) non ne fece mai uso, fatto che attesta che nel 130-140 i giudei-cristiani non venivano designati ancora con un nome specifico. Lo si trova invece in Ippolito di Roma (220-235) e in Epifanio (380-403), che si ispirano però a Ireneo di Lione (175-200), il primo a introdurre questa designazione e ad esprimersi in termini che lasceranno il segno nei giudizi futuri(Contra Hereses, 1, 26, 2). Tertulliano (200-220) è il primo ad utilizzarlo nella lingua latina.

Ma anche il termine “giudeo-cristiani” è un’esprtessione imprecisa e ambigua. Forgiato dalla scienza moderna nel XIX secolo, vorrebbe indicare schematicamente e generalizzando quel gruppo dei discepoli e seguaci di Gesù deliberatamente rimasti vicini al giudaismo e che, anzi, voglioni esprimere la loro appartenenza al giudaesimo ricorrendo a “marcatori” di identità giudaica (Tempio, circoncisione, cibi, rispetto delle pratiche come condizione di salvezza,ecc). In questo modo gli studiosi hanno raccolto sotto una medesina denominazione credenti che nella realtà erano profondamente diversi gli uni dagli altri e che in definitiva rischiavano di non essere né giudei né cretiani.

Tornando ai Padri – che, non dimentichiamolo mai, parlano di persone che nel loro cuore hanno già giudicato! - Origene offre qualche spunto in più, perché gioca sul significato della parola attirando l’attenzione sugli aspetti dottrinali. Secondo lui “ebionita” deriva dall’ebraico “ebion” che significa povero, povero soprattutto nel modo di interpretare le scritture.  Difficile individuare altre spiegazioni. Poveri comunque per alcuni “di cervello”, perché avevano una concezione di Gesù piuttosto misera e ristretta (Origene, Contra Celsum, II,i); per altri “di borsa”, perché avevano scelto un modo di vita decisamente rivoluzionario che non faceva alcun affidamento su beni materiali dei quali, anzi, se ne liberavano depositandoli ai piedi degli apostoli (Epifanio e Ireneo).

E’ probabile che questo gruppo, fatto di persone eterogenee, presentasse entrambe gli aspetti, ma che nel suo nocciolo originario comprendesse anche degli autentici poveri “in spirito” che rappresentavano la vera anima del movimento, beati di essere poveri. Erano convinti di rimanere fedeli al primo insegnamento di Gesù, e affermavano di avere tra di loro i discendenti della Sua famiglia. Sarebbe un grave errore trascurare il fatto che gli ebioniti, prima di esistere nelle opere degli storici, erano delle persone che “vivevano” con profondità e intensità la loro fede in Gesù senza rompere con il passato e senza introdurre discriminazioni nei confronti di altri gruppi, a dispetto di tutti i contenuti più o meno teologici che Paolo, Ireneo, Epifanio o Origene volevano attribuire loro.

Più che un unico gruppo è probabile quindi che gli Ebioniti rappresentassero invece un insieme di gruppi dalle sfumature (e dai testi?) leggermente diverse (per salvaguardare la propria identità) ma fondamentalmente identici nella fede (9). Gli storici del tempo hanno anche riferito di una distinzione di due fazioni all’interno del movimento, una più radicale e un’altra dalle concesioni teologiche più morbide (Origene nel Contra Gelsum, V; Eusebio nella Historia Ecclesiastica, III; Epifanio nel Panarion), ma non è dato sapere da dove essi abbiano tratto queste informazioni, che possono essere considerate più esigenze teoriche che storiche.

Qualcuno ha voluto delineare una identità con gli Esseni. Anche se non mancano elementi comuni non sussistono motivi fondati per affermarlo con certezza (10). Oggi l’orientamento di molti studiosi è più propenso a considerare gli Ebioniti semplicemente come gli ebrei cristiani ordodossi di Palestina che continuavano ad osservare la Legge giudaica, senza che questo designasse necessariamente una setta eretica. Sotto questo profilo la loro realtà all’interno dell’evoluzione storica della chiesa appare più chiara.

Un pezzo di storia della chiesaAi primordi – si parla quindi degli anni 30-40, cioè di un periodo in cui la fede in Gesù non ha ancora ricevuto marcatori precisi - si è i in presenza di un gruppo di cristiani indiscutibilmente di origine tradizione e mentalità ebraica, che si consideravano o venivano considerati “poveri”, detti in altro modo “nazareni” o nazorei.  Raccolti prima attorno prima a Pietro poi a Giacomo apparivano come una nuova setta giudaica tra le tante, quasi una nuova Sinagoga, che seguiva in tutto e per tutto la Legge, distinguendosi solamente  per la fede nell’imminente ritorno di uno loro: Gesù il Messia. Il contenuto morale e caritatevole del suo messaggio sembrava non potesse essere attuato conservando le proprie ricchezze personali, senza cioè farsi carico anche di una massa di persone che vivevano nell’indigenza.  E’ spontaneo il riferimento ad Atti 2,37-44. Sulla spinta ideale di un Gesù “povero” si era prodotta nella comunità una situazione di etica condivisione dei beni, mediante l’alienazione di quelli individuali a favore di un bene comune più importante. Quello che un secolo più tardi verrà designato col termine di Ebioniti si riferisce appunto a  questo insieme di proto-cristiani giudaizzanti che conservò la tradizione dei primi convertiti dall’insegnamento pubblico di Gesù basandosi su una raccolte dei suoi detti.

A questo gruppo “etnico” iniziale di “ebrei di nascita” (11) si aggiunsero ben presto altri individui originari di località lontane dalla Palestina e convertiti all’ebraismo: i “proseliti”o ebrei della dispora o “ellenisti”. Se ne fa menzione in Atti 6,15-7,60.  La formazione di costoro era prevalentemente ellenica e, oltre ad avere una visione dualistica in stridente contrasto con quella ebraica, mal si adattava alle rigide formalità rituali della Legge ebraica. La loro permanenza in terra straniera, il loro parlare greco, il loro aver acquisito uno schema mentale greco, il loro imitare altri gruppi etnici della zona con i quali erano costantemente a contatto, aveva determinato in loro la consapevolezza di una crescente distanza  di punti di vista con i gruppi abitudinariamente in Palestina. Ed era proprio il rito del Tempio ad essere messo in discussione. Per loro la salvezza non poteva essere legata al rispetto di convenzioni, ma doveva provenire da qualcosa di più sostanziale. E’ ovvio che i giudeo-cristiani di Palestina questo non lo potevano assolutamente accettare. Queste formazioni della provincia si presentavano quasi come una nuova dottrina, senza dubbio più adatta al mondo pagano, ma certo in contrasto con quella vera: una dottrina dal sapore eretico. La tensione tra i due gruppi andò alle stelle accendendo gli animi tanto che alla fine ci scappò il morto (Stefano).

Per riportare ordine e serenità i due gruppi si separarono. Dopo il martirio di Stefano (12), i fatti condussero ad una separazione anche fisica delle due fazioni e si pose fine a una convivenza problematica con la fuga degli “ellenisti” da Gerusalenne verso Cipro, Fenicia e Antiochia. Gerusalemme potè così godere di una relativa tranquillità (Atti 9: “La Chiesa era dunque in pace con tuttala Giudea la Galilea e la Samaria. Essa cresceva e camminava nel timore del Signore colma del conforto dello Spirito Santo”), tanto da far dire a qualche storico (Lohmeyer) che finalmente Matteo potè aggiungere, al suo vangelo, il rispetto del sabato nella visione della distruzione di Gersalenne e smentire Marco con la possibilità di ripudio in caso di adulterio.

Questo periodo di storia della chiesa e soprattutto la Chiesa di Gerusalemme ha sempre esercitato un fascino particolare nell’immaginario cristiano che l’ha sempre considerata come un punto di riferimento indiscutibile, quasi romantico, per tutte le altre comunitò sorte nel mediterraneo. Nonostante questa Chiesa si sia isolata dalla storia è sempre rimasta, ed è ancora, radicata nel cuore degli storici, teologi, studioni, credenti.

Questo primo agglomerato giudeo-cristiano, ormai isolato dal resto della comunità cristiana che si stava invece già confrontando con orizzonti ben più vasti e impegnativi, poteva vantare l’autorevole sostegno di un apostolo, Giacomo, che godeva anche la fama di “fratello di Gesù”. La sua autorità andò sempre più aumentando e giunse al massimo nel 42 quando Pietro se ne andò da Gerusalemme per stabilirsi ad Antiochia. La sua ferrea fedeltà alla Legge giudaica, e quella del suo gruppo, andò di pari passo con la separazione dal gruppo di pagani convertiti all’ebraesimo, e quindi al cristiansimo, concentrati prevalentemente ad Antiochia con Paolo. Le due fazioni e i loro problemi trovarono nel 48 un tentativo di conciliazione nell’assemblea di Gerusalemme (Atti 15). (13),

Il seguito della vicenda ci è noto da Flavio Giuseppe e da Egesippo: nel 62 viene ucciso Giacomo per un colpo di mano del sommo sacerdote Anania, nel 66 il gruppo lascia Gerusalemme per Pella rifiutandosi di partecipare alla rivolta contro i romani, nel 72-80 circa alcuni tornarono a Gerusalemme divenuta Aelia Capitolina col permesso dei romani. La frattura divenne però irreparabile anche con gli stessi giudei, quando nel 135 la comunità giudeo-cristiana si rifiutò di prendere le armi con Bar-Kockba e di partecipare alla rivolta. L’isolamento degli Ebioniti a questo punto divenne prerssocchè totale, tanto che Renan scrisse “.. sono rimasti estranei alla vita delle altre chiese…”, malvisti tanto dagli ebrei quanto dai cristiani.

Identificare questo gruppo di giudei-cristiani con i gruppi di cui parlano polemicamente alcuni Padri e scrittori ecclesiastici e riferire ad essi tutta una serie di scoperte archelogiche degli ultimi anni, sembra ancora prematuro. E’ una teoria che può essere formulata solo con valore ipotetico, anche se per molti secoli è stata accettata senza contradditorio. L’affermazione dei Padri che vedono in questi gruppi proto-cristiani di ispirazione giudaica la “setta degli ebioniti” sembra eccessiva, non tanto perché inesatta, quanto perché vaga e di carattere fortemente polemico nei confronti di questo movimento, che viene per di più descritto da autori la cui formazione è essenzialmente ellenico-romana, poco incline a comprendere gli schemi di pensiero e di vita semitici. Leggendo i Padri occorre tenere presente che , nelle loro relazioni storiche, mancano quasi del tutto di “tridimensionalità”, nel senso che i fatti non vengono discritti nella loro progressiva successione nel tempo e nello spazio, ma come in qualche modo schiacciati e sovrapposti su un fondo unico, rendendo così difficile per noi, a diciotto decoli di distanza, una loro più realistica collocazione. L’ambiente storico iniziale nel quale gli ebioniti si sono espressi è comunque questo. Il primo a considerarli eretici fu Giustino (140-160 circa) nel suo Syntagma (= Compendio), purtroppo perduto.

Certo è che col passare degli anni il movimento ebionita, come tutte le realtà che non sanno confrontarsi con la storia, andò spegnendosi. Sappiamo che la comunità tornata a Gerusalemme da Pella continuò la tradizione dei “parenti del Signore” e che nominò 15 vescovi tutti di “razza ebraica” basandosi su una rigida successione dinastica. Nel 318 si spinse a chiede a papa Silvestro di revocare la nomina del vescovo di Gesrusalemme per affidarla a un membro del loro gruppo, nonché di considerare come Chiesa Madre quella di Gerusalemme in luogo di Roma. Ma poi non ne rimase più nulla.

Per contro andò sempre più affermandosi il gruppo di Antiochia, terza città dell’impero romano con i suoi 800,000 abitanti, dove Paolo, già giudeo della periferia, si confrontò con la cultura greca e romana dando al cristianesimo una svolta del tutto nuova, aperta all’universalismo e centrata su Gesù invece che sulla Legge. E alla fine fu Roma a prendere il sopravvento.

In qualche modo i giudeo-cristiani sono rimasti schiacciati tra un giudaismo che dopo la caduta di Gerisalemme si stava riorganizzando (e a dire il vero contro di loro), e i discepoli di Gesù che svezzatisi dalla loro origine giudaica si stavano inesorabilmente aprendo al mondo pagano.

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Allo studio delle fonti sul giudeo-critianesimo si è affiancato in questi ultimi anni un notevole interesse per le indagini archelogiche volte a individuare in Palestina luoghi e reperti che potrebbero testimoniare le vita della chiesa di questi primi 50 anni di esistenza. Dalle scoperte di Bellarmino Bagatti del 1950 agli scavi di M. Piccirillo (recentemente scomparso) dello Studium Biblicum Franciscanun di Gerusalemme, il materiale messo a disposizione degli storici (e dei turisti) e consistente, ma oggi risulta ancora largamente discusso e interpretato. Si rimanda perttanto alle pubblicazioni del settore (14). La ricchezza dell’archelogia, la scienza che sa far parlare le pietre, offre all’ “anima” dei testi un “corpo” nel quale rispecchiarsi e colpire l’immaginazione, elemento pure del quale abbiamo bisogno.

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NOTE

(1) – Epifanio - “Gli antichi li chiamavano molto appropriatamente Ebioniti, perché avevano opinioni povere e basse concernenti Cristo. Poiché essi lo consideravano un uomo semplice e comune, che è stato giustificato solo a causa della sua superiore virtù, e che era il frutto di una relazione fra Maria e un uomo. Nella loro opinione era anche necessaria l'osservanza della legge mosaica, poiché non potevano salvarsi tramite la sola fede in Cristo e vita condotta corrispondente a questo principio. C'erano anche altri, tuttavia, oltre a costoro, che avevano lo stesso nome, ma che evitavano le credenze strane e assurde di questi ultimi, e non negavano che il Signore fosse nato da una vergine e dallo Spirito Santo. Ma nondimeno, poiché essi rifiutavano di riconoscere che egli pre-esisteva, in quanto Dio, Parola e Sapienza, essi ricadevano nell'empietà dei primi, specialmente per il fatto che, come i primi, erano tenuti a osservare strettamente il culto carnale della legge. Inoltre questi uomini ritenevano necessario rigettare tutte le epistole dell'apostolo Paolo, che chiamavano apostata della legge, ed usavano solo il cosiddetto Vangelo degli Ebrei e tenevano in scarsa considerazione tutto il resto Osservavano il sabato e la disciplina degli ebrei proprio come loro ma ugualmente, proprio come noi, celebravano i giorni del signore come un memoriale della resurrezione del salvatore. Da qui il termine "ebioniti", che evidenzia la povertà della loro comprensione. Infatti questa parola è usata dagli ebrei per indicare un uomo povero». (Panarion, 30,13,2-8; 30,14,5; 30,16,4; 30,22,4) – (cfr. Erbetta, Apocrifi del Nuovo Testamento, pagg 132-36)

Epifanio parla degli ebioniti nel contesto di un nucleo dottrinale elaborato da tre posizioni che lui considera eretiche: la n. 29 sui Nazorei, la n. 30 sugli Ebioni appunto, la n. 19 sgli Ossei e gli Elcasaiti e la n. 53 sui Sampsei.

 

(2) - Ireneo, Contra hereses, 1,26,2 “Gli Ebioni pure insegnano che il mondo fu fatto da Dio, ma riguardo al Signore (Gesù Cristo) la pensano diversamente da Cerinto e Carpocrate. Usano solo il Vangelo secondo Matteo e rifiutano l’apostolo Paolo come ribelle alla Legge. Interpretano I profeti con eccessiva minuzia. Si circoncidono e persistono nelle usanze prescritte dalla Legge e nello stile di vita ebraico…”.  Più avanti, 3,11,7 “Gli ebioni usando solo il Vangelo secondo gli Ebrei possono essere convinti da quello, solo che su Dio non pensano rettamente…”

(3) – Ippolito, Refutatio omnium haeresium, 7,34,1-2: “Gli ebioniti ammettono che il mondo è opera del vero Dio; tuttavia in merito a Cristo essi propalano le stesse favole di Cerinto e Carpocrate. Vivono secondo I costumi giudaici, pretendono di essere giustificati tramite la Legge. A loro avviso fu tramite la pratica delle opere della Legge che Gesù fu reso giusto. Gesù stesso ha meritato il nome di Cristo di Dio proprio perchè nessun altro avrebbe adempiuto a quanto prescritto dalla Legge, se qualcun altro avesse osservato la Legge come lui, costui pure sarebbe stato cristo. Pertanto, con l’imitare l’esempio di Gesù, cercano di divenire essi stessi cristi; poichè infatti affermano che Gesù fu uomo al pari degli altri uomini”.

(4) – Eusebio – “… Cristo appariva alla loro mente come un essere semplice e  volgare: lo ritenevano un puro uomo, diveniuto giusto per il progressivo accrescimento delle sue virtù; nato dal connubio di Maria on un uomo: L’osservanza della Legge Mosaica era per loro di imprescindibile necessità, giacchè, secondo il loro pensare, la sola fede in Cristo e la vita condotta conforme a questa fede non bastavano a salvezza… Giudicavano da rigettarsi le epistole di Paolo e chiamavano l’apostolo transfuga dlla Legge: si servivano solamente del Vangelo degli Ebrei e degli altri ne facevano poco conto…” (Storia Ecclesiastica 3,27,25)

(5) – Citazioni del Vangelo degli Ebioniti riportate da Epifanio – dal Haereses: “[Nel loro (degli ebioniti) vangelo secondo Matteo - che però non è genuino e completo, ma falsificato e mutilato -, e che chiamano vangelo ebraico, è detto quanto segue: "Ci fu un uomo di nome Gesù, che all'età di circa trent'anni ci scelse. E quando, andato a Cafarnao, entrò in casa di Simone, soprannominato Pietro, aprì la bocca e disse: "Mentre passavo lungo il lago di Tiberiade ho scelto Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, e Simone, Andrea, Taddeo, Simone, lo zelota, e Giuda Iscariota; ed ho chiamato pure te, Matteo, che eri seduto al telonio, e tu mi hai seguito. Da voi dunque voglio che voi dodici apostoli siate una testimonianza per Israele" (30,13,2-3) - "Quando Giovanni battezzava, accorsero da lui i farisei e furono battezzati e così tutta Gerusalemme. Giovanni aveva un abito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi. E, dice, il suo cibo era miele selvatico, ed il gusto come quello della manna, come uva schiacciata all'olio" (30,13,4) – “L'inizio del loro vangelo suona così: "Nei giorni di Erode re di Giudea, sotto il sommo sacerdote Caifa, uno di nome Giovanni andò sul fiume Giordano a battezzare con il battesimo di penitenza. Di lui si diceva che fosse della stirpe del sacerdote Aronne, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. E tutti accorrevano da lui" (30,13,6) – “Narrate molte cose (il vangelo degli ebioniti), così prosegue: "Mentre era battezzato il popolo, venne anche Gesù e fu battezzato da Giovanni. E salito che fu dall'acqua, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito santo, in forma di colomba, che scese ed entrò in lui. Ed una voce disse dal cielo: "Tu sei il mio figlio diletto. In te mi sono compiaciuto". Ed ancora: "Oggi ti ho generato". E il luogo fu subito irradiato da una grande luce". (Dice che) "Giovanni a questa vista gli abbia detto: "Chi sei tu?". E di nuovo una voce dal cielo a lui (rivolta, disse): "Questo - il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto"". (Dice che) "allora Giovanni cadde ai suoi piedi e disse: "Ti supplico, Signore, battezzami tu!". Ma lui l'impedì dicendo: "Lascia! Conviene, infatti, che si adempia ogni cosa"" (30,13,7-8) - La loro narrazione afferma che Gesù fu generato da seme umano, e scelto poi da Dio: fu per questa elezione divina che fu chiamato figlio di Dio, dal Cristo che entrò in lui dall'alto in forma di colomba. Essi negano che sia stato generato da Dio Padre ma affermano che fu creato come uno degli angeli... sebbene egli sia al di sopra degli angeli e di tutte le creature dell'Onnipotente e sia venuto, come - riferito in quel cosiddetto vangelo secondo gli Ebrei'': "Io sono venuto ad abolire i sacrifici. E se non cesserete dall'offrire sacrifici, non desisterà da voi l'ira" (30,16 4-5) –“Abbandonando il vero ordine delle parole, alterano la frase, sebbene sia chiara da tutto il contesto delle parole, e fanno dire ai discepoli: "Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la pasqua?". Al che egli rispose: "Forse che io ho desiderato mangiare carne con voi in questa pasqua?" (30,22,4) – “Essi inoltre non ammettono che egli fosse un uomo; e ciò a motivo, chiaramente, di quanto rispose il Salvatore allorché gli fu detto: "Ecco tua madre e i tuoi fratelli sono fuori" e cio-: "Chi - mia madre e chi sono i miei fratelli?". E, stese le mani sui suoi discepoli, disse: "I miei fratelli, mia madre e le mie sorelle sono costoro che compiono la volontà del Padre mio" (30,14,5).

(6) - Vangelo degli Ebrei – Lo conosciamo per le informazioni fornite da Clemente, Origene, Gerolamo e Didimo. Dalle loro testimonianze sappiamo che doveva contenere una relazione sul battesimo, la storia delle tentazioni di Gesù, l’estasi sul Tabor, diversi detti di Gesù, la manifestazione della resurrezione a Giacomo che viene presentato come figura di rilievo. Più che ai sinottici questo vangelo si avvicina  al Vangelo di Tommaso, alle rappresentazioni sapienziali che si trovano nelle pseudo-clementine. Gesù è figlio dello Spirito e questi è fatto coincidere con Maria. Questo particolare e la marcata somiglianza con la letteratura copta su Giacomo (codice II del Museo copto del Cairo), nonchè una notevole sintonia con il Vangelo di Filippo (nel testo gnostico di Nag Hammadj, che negava la concezione verginale) inducono a pensare che l’ambiente storico di origine è quello giudeo-cristino dell’alto Egitto, mentre la datazione, stando alle indicazione desumibili da Clemente, può essere collocata nella prima metà del secondo secolo. (cfr. Erbetta, Apocrifi del Nuovo Testamento, pagg 116-127; Longenecker, Christilogy of Easly Jewish Christianity, Londra 1970; - Clemente Alessandrino, Stromata, 5,14,96; Origene, Commento a Giovanni, 2,12; Gerolamo, in Eph. 5,4)

(7) – Girolamo - « Nel vangelo che usano i Nazareni e gli Ebioniti, che recentemente io ho tradotto dall'ebraico in greco e che i più considerano il Matteo autentico, quest'uomo che ha la mano arida.. » ( Girolamo, Commento I a Matteo. 12,13). Il passo appare abbastanza ambiguo su quale vangelo si tratti, se quello degli Ebioniti o quello degli Ebrei. Attesta comunque l’esistenza di un Matteo originariamente scritto in ebraico. – Sull’uso dei termini di nazareni, nazirei, nazorei è interessante l’osservazione di R. Eisenman sul fatto che la trasposizione dall’ebraico al greco di “z” e “tz” (in natareth, nazorei, nazareni) che diventa semplicementer “z” perdendo tutto il contenuto ideologico originario. “Nazorei era, per gli scrittori in greco, il termine alternativo per inficare i cristiani in Palestina, dove il termine creco “cristiani” non signoficava nulla”. (Eisenman, Giacono il fratello di Gesù, 2007, pagg 179-181)

(8) – Atti degli Apostoli – La presentazione che Luca ci propone negli Atti del conflitto tra fazione giudaica e fazione ellenista dei cristiani di Gerusalemme è condizionata dallo scopo che si prefiggeva questa opera, cioè quella di eificare il lettore. In questa prospettiva la raffigurazione di toni aspri e di scontri settari non giovava allo scopo, e probabilmente non coincideva neppure con la dimensione effettiva di tali, che in definitva potevano rappresentare poco più che scaramucce locali. L’equilibrio degli Atti nel descrivere un quadro sereno e armonioso della vita comunitaria più che una falsificazione storica risponde forse alla “saggezza del poi”, che guardando i fatti con più distacco emotivo cerca di smussare gli angoli ridimensionando la portata delle tensioni che immancabilmente si manifestarono in modo anche violento. (cfr. F. Blanchettière, La secte des nazaréens ou le début di christianisme, Gerusalemme 1993, pag 65-91)

(9) – Vangeli diversi o unico Vangelo – Gli studiosi sono propensi e riconoscere che Vangelo degli Ebioniti, Vangelo degli Ebrei, Vangelo dei dodici apostoli secondo Matteo, erano delle opere autonome  chiaramente distinte tra loro. Fermo restanto che tutte queste opere dovevano essere di fattura abbastanza rozza e che tutte dovevano contenere elementi più o meno eretici, il considerarle uno sviluppo storico attorno ad un medesimo ceppo originario non è documentabile, ma neppure escludibile. Non è difficile immaginare nel primo secolo oscillazioni di vedute, sintesi di idee, fusioni e confusioni di teorie, discussioni e scontri, distinzioni, separazioni, scissioni: è ipotizzabile che non abbiano infuito in qualche modo anche sui testi base di riferimento che senza dubbio dovevano essere trascritti dopo qualche tempo per sostituire copie usurate? Anche i luoghi di riferimento (gerusalemme o l’Egitto) e le epoche differenti a cui i Padri si riferiscono, possono condurre a questa onclusione.

(10) – Legami con gli Esseni - I pochi frammenti che ci sono rimasti del Vangelo secondo Matteo usato dagli Ebioniti trasmessi da Epifanio non sono un materiale sufficiente per poter avanzare fondate ipotesi sui rapporti tra gli Ebioniti e gli Esseni. Una qualche relazione tra le due realtà non può essere esclusa a priori, dato il ristretto ambito territoriale. E’ vero che la polemica che gli Ebioniti hanno ingaggiato con Paolo (l’Uomo di menzogna secondo la terminologia essena? contrapposto al Maestro di Giustizia identificato in Giacomo) relativamente all’interpretazione paolina di Gesù-vittima pasquale, che più che per la mentalità ebraica era inconcepibile anche e soprattutto per la mentalità essena.
Ma non basta a dimostrare una identità di vedute, e ancor meno basta il fatto che il Vangelo ebionita di Matteo sia stato scritto in aramaico. Veramente troppo poco. Ipotesi ricche di fascino ma prive di credibilità, terreno fertile per un certo tipo di archelogia romanzata di cui Eisenman ci ha dato un esempio (vedi: R.H. Eisenman, Giacomo il fratello di Gesù)

(11) – I gruppi giudeo-cristiani – Non bisogna compiere l’errore di qualificare i primi gruppi crisiani come un gruppo “etnico” (gli appartenenti alla nazione giudaica) e soprattutto come un insieme compatto e ben organizzato. In realtà, in perfetta sintonia con la mentalità orientale, non esisteva né una identità dottrinale definita, né un’autorità indiscussa. Vi erano sì gli Apostoli, ma erano 12 teste, anche se lo Spirito era uno solo, e accanto a loro vi erano i “Sette”. Impossibile l’unanimità e l’ordine.  Errore analogo è quello di considerare i giudeo-cristiani coloro che si esprimevano secondo le categorie giudaiche di pensiero (es. il pensiero apocalittico).  Sembra più idonea la definizione secondo cui questi gruppi, qualunque fosse la loro apprtenenza etnica, erano costituiti da coloro che si attenevano alle osservanze tipiche del giudaesimo (sabato, cibi, battesimo, circoncisione, ecc). e vedevano in queste norme un elemento imprescindibile di salvezza. (cfr. Marcel Simon, Giudaismo e cristianesimo: una storia antica, Bari 2005)

Per una comprensione corretta di questi gruppi non si può prescindere dal momento storico nel quale  nacquero e si inserirono. In sintesi: l’Allenza del Tempio che faticava e trovare unità per la presenza di sette nuove e in continua trasformazione, le fughe nazionalistiche che in vario modo si opponevano ai romani, la caduta di Gerusalemme e l’azzeramento del Tempio e della casta sacerdotale, Il bisogno di trovare risposte nuove a una situazione nuova, lo sforzo di una riorganizzazione delle fede ebraica alla deriva, la formazione di un nuovo Sinedrio e il suo impegno a definire una “ortodossia” ebraica distinguendo ciò che è ebraico da ciò che non lo è più, le maledizioni conto i dissidenti, una vitalità sempre più evidente dei cristiani che andavano assumendo una identità sempre più marcata e universale…..  (vedere: Perrotta, Haireseis, Bologna 2008, pagg. 134-139).

Anche se questi gruppi avessero avuto una vita breve (dicamo 100 anni, tra il 40 e il 140) gli eventi storici teologici e sociali nel quali sono stati coinvolti, e coi quali in qualche modo si sono dovuti confrontare, sono stati tali e tanti che una loro netta connotazione e definizione risulterebbe solo riduttiva. E’ forse più realistico pensarli come uno stile di vita espressione di una situazione di disagio originatasi tra gli ebrei che erano affascinati da questo nuovo profeta che aveva sconvolto la Palestina, tra i nuovi credenti che non se la sentivano di dare un calcio definitivo a quella vecchia Legge che aveva guitato per anni la loro esistenza, tra i convertiti dal paganesimo al giudaesimo o al cristianesimo che faticavano ad accettare l’una o l’altra legge. L’inesorabile marcia verso una ordossia ebraica o cristiana, che al fine mise ordine in questo caotico miscuglio, ebbe ragione anche sui gruppi giudeo-cristiani che morirono di morte naturale relegati nell’eresia (fu proprio il rabbinato farisaico di Jamnia a decretare la fine del giudeo-cristinesimo a valore dell’elleno-cristianesimo). (vedere: L. Cirillo, Correnti giudeo-cristiane, in Storia del Cristianesimo. Religione, politica e cultura, Roma 2003, pagg 266-316)

(12) – Il martirio di Stefano – Qualche autore ha voluto leggere il martirio di Stefano in un contesto marcatamente “palestinese” connotandolo con il temperamento rissoso e impulsivo di questa etnia. E’ stata così avanzata da qualche studioso l’ipotesi che in questo acceso clima di contrapposizione ideologica Stefano non sia stato lapidato da nemici pagani bensì da una eccessivamente faziosa comunità ebraico-cristiana. La passione per la dietrologia fa ipotizzare questo e altro, ma la ricostruzione storica è ben altra cosa e non consente, allo stato, ipotesi di questo genere.

In realtà il martirio di Stefano deve essere inteso come una reazione irritata, polemica, eccessiva ad uno stato di fatto che creava fortissime tensioni al vivere quotidiano. Comportamenti pratici del tipo predicazione dell’annuncio-battesimo dei neo-convertiti di qualunque estrazione fossero, stavano sovvertendo le tradizioni stesse del popolo di Israele. I battesimi di Filippo in Samaria, degli evangelizzatori in Fenicia, di Pietro al Centurione romano, ecc., amministrati come segno di appartenenza alla nuova comunità che credeva nella resurrezione e alimentava una nuova speranza nel superamento dei mali storici e nella possibilità di salvezza,  stavano diventando non “un” problema ma “il” problema degli Ebrei. Il mondo pagano, costantemente e caparbiamente rifiutato, faceva così, subdolamente, un ingresso a pieno titolo nello sviluppo della storia di Israele, il popolo eletto, contaminandolo. La morte di Stefano è quindi una soluzione emotiva e rabbiosa a un problema nuovo per la sua origine, pericoloso per la storia di un popolo, emorme in confronto alla fragilità delle nuove comunià, ma decisivo per la diffsione di un messaggio. Se i giudeo-cristiani si rifiutavano di diventare dei cristiani e basta, gli elleni-cristiani avrebbero voluto far subito piazza pulita di tante sovrastrutture storiche che a loro, proiettati nella speranza della resurrezione, non dicevano assolutamente nulla. (vedere: D. Marguerat, Ebrei e Cristiani, la separazione, in Storia del Cristianesimo. Religione, politica e cultura, Roma 2003, pagg. 190-222)

(13) – Assemblea di Gerusalemme – Si è detto (e fantasticato) molto su questo incontro. Alcuni lo  vedono come il primo Concilio cioè l’incontro nel quale le autorità del momento si sono confrontate per trovare maggior chiarezza di idee e coerenza di comportamenti. Altri preferiscono vedere un patto teolocico-economico nel quale la situazione abbastanza fallimentare del “poveri” di Gerusalemme che necessitavano di aiuti economici per sopravvivere alle conseguenze della loro scelta di povertà (Paolo però li chiama “i santi”, “tous agious” che sarebbe opportuno tradurre con “i pii” connotazione improprie date dalla storia a questo termine), viene barattata con la “clausola Jacobea”. In questa assemblea cioè Paolo, vista riconosciuta la sua linea, convince gli antiocheni, così favoriti, a mettere mano al portafoglio per sostenere la comunità fondata da Giacomo. Questa seconda interpretazione sembra eccessiva e riduttiva.

E’ probabile che un baratto ci sia stato, ma non in questi termini. Esler lo inquadra nella concezione del dono che gli antici avevano.

(14) – ricerche archelogiche – Nel 1973 L. Moraldi ha fornito una prima descrizione nella sua opera Recenti scoperte archeologiche e letterarie in Palestina (Rivista Biblica 1973 pagg 187-202). Più dettagliata è la sintesi fatta nel 1986 da B. Bagatti in Alle origine della Chiesa, Le comunità giudeo cristiane (Roma). Interessanti sono le osservazioni sulla domus ecclesiae di Cafarnao, dove hanno condotto scavi V. Corbo, S. Loffrwda e M.Piccirillo. E’ inevitabile che su una materia che dispone di poche testimonianze si affrontino opinioni contrastanti. A questo proposito vedere J. Taylor, Christianity and the Holy Places, Oxford 1993.

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BIBLIOGRAFIA

(1) – D.A. Bertand, L’Evangile del Ebionites, 1980, New Testament Studies, 26 (1980), pagg 548-563

(2) – G. Strecker, Ebioniten, Real lexicon fur Antike und Christentum, Stoccarda, 4 (1959), pagg. 487-500

(3) – J.M. Magnin, Notes sul l’Ebionisme, in POC 23 (1973), pagg 233-265 – 24 (1974) pagg 225-250 - 25

(4) – S.C. Mimouni, Les cretiens d’origine juive dans l’antiquité, Parigi 2004, pagg. 159-194 e 247-251

(5) – G. Howard, The Gospel of the Ebionites, in Aufstieg und Niedergang der romische Welt, II 25.5. Berlino 1988, pegg 4034-4053

(6) – L. Cirillo, I Valgeli giudeo-cristiani, in AA.VV., La Bibbia nell’antichità cristian, Bolohma 1983, pagg. 275-218

(7) – M. Simonetti, Tra giudaismo e cristianesimo, Roma 1995, pagg. 117-130

(8) – G. Filoramo-C. Giannotto, Verus Israel, Nuove prospettive sul giudeocristianesimo, Atti del Colloquio di Torino, 4-5 novembre 1999, Brescia 2001

(9) – J.P.Lemonon, Les judeo-chretiens: des temoins oubliés, Ed. Du Cerf, 2006

(10) - S.C. Mimouni, Le jedeo-christianisme ancien, Parigi 1998

(11) – P.J. Tomson, The image of the Judaeo-christianism in Ancient Jewish and Christina Literature, Tubingen 2003

 

 


 

Frammenti di Vangeli perduti

1. Vangelo degli Ebioniti

Epifanio - [1] Nel loro (degli ebioniti) vangelo secondo Matteo - che però non - genuino e completo, ma falsificato e mutilato -, e che chiamano vangelo ebraico, - detto quanto segue:

"Ci fu un uomo di nome Gesù, che all'età di circa trent'anni ci scelse. E quando, andato a Cafarnao, entrò in casa di Simone, soprannominato Pietro, aprì la bocca e disse: "Mentre passavo lungo il lago di Tiberiade ho scelto Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, e Simone, Andrea, Taddeo, Simone, lo zelota, e Giuda Iscariota; ed ho chiamato pure te, Matteo, che eri seduto al telonio, e tu mi hai seguito.

Da voi dunque voglio che voi dodici apostoli siate una testimonianza per Israele"" (EPIFANIO, Haeres., 30, 13, 2-3).

[2] "Quando Giovanni battezzava, accorsero da lui i farisei e furono battezzati e così tutta Gerusalemme. Giovanni aveva un abito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi. E, dice, il suo cibo era miele selvatico, ed il gusto come quello della manna, come uva schiacciata all'olio" (EPIFANIO, op. cit., 30, 13, 4).

[3] L'inizio del loro vangelo suona così:

"Nei giorni di Erode re di Giudea, sotto il sommo sacerdote Caifa, uno di nome Giovanni andò sul fiume Giordano a battezzare con il battesimo di penitenza. Di lui si diceva che fosse della stirpe del sacerdote Aronne, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. E tutti accorrevano da lui" (EPIFANIO, op. cit., 30, 13, 6).

[4] Narrate molte cose (il vangelo degli ebioniti), così prosegue:

"Mentre era battezzato il popolo, venne anche Gesù e fu battezzato da Giovanni. E salito che fu dall'acqua, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito santo, in forma di colomba, che scese ed entrò in lui. Ed una voce disse dal cielo: "Tu sei il mio figlio diletto. In te mi sono compiaciuto". Ed ancora: "Oggi ti ho generato". E il luogo fu subito irradiato da una grande luce".

(Dice che) "Giovanni a questa vista gli abbia detto: "Chi sei tu?". E di nuovo una voce dal cielo a lui (rivolta, disse): "Questo - il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto"".

(Dice che) "allora Giovanni cadde ai suoi piedi e disse: "Ti supplico, Signore, battezzami tu!". Ma lui l'impedì dicendo: "Lascia! Conviene, infatti, che si adempia ogni cosa"" (EPIFANIO, op. cit., 30, 13, 7-8).

[5] La loro narrazione afferma che Gesù fu generato da seme umano, e scelto poi da Dio: fu per questa elezione divina che fu chiamato figlio di Dio, dal Cristo che entrò in lui dall'alto in forma di colomba. Essi negano che sia stato generato da Dio Padre ma affermano che fu creato come uno degli angeli... sebbene egli sia al di sopra degli angeli e di tutte le creature dell'Onnipotente e sia venuto, come - riferito in quel cosiddetto vangelo secondo gli Ebrei'': "Io sono venuto ad abolire i sacrifici. E se non cesserete dall'offrire sacrifici, non desisterà da voi l'ira" (EPIFANIO, op. cit., 30, 16, 4-5).

[6] Abbandonando il vero ordine delle parole, alterano la frase, sebbene sia chiara da tutto il contesto delle parole, e fanno dire ai discepoli:

"Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la pasqua?".

Al che egli rispose:

"Forse che io ho desiderato mangiare carne con voi in questa pasqua?" (EPIFANIO, op. cit., 30, 22, 4).

[7] Essi inoltre non ammettono che egli fosse un uomo; e ciò a motivo, chiaramente, di quanto rispose il Salvatore allorché gli fu detto: "Ecco tua madre e i tuoi fratelli sono fuori" e cio-: "Chi - mia madre e chi sono i miei fratelli?". E, stese le mani sui suoi discepoli, disse: "I miei fratelli, mia madre e le mie sorelle sono costoro che compiono la volontà del Padre mio" (EPIFANIO, op. cit., 30, 14, 5).

 

2. Vangelo degli Ebrei e nazarei

Clemente Alessandrino - [1] Come pure sta scritto nel vangelo secondo gli Ebrei: "Chi si stupisce regnerà. E chi regnerà si riposerà" (CLEMENTE ALESS., Strom., 2, 9).

[2] Parole che equivalgono a queste: "Chi cerca non smette fino a tanto che abbia trovato; quando avrà trovato si stupirà, ed essendosi stupito, regnerà; ed avendo raggiunto il regno si riposerà" (CLEMENTE ALESS., Strom., 5, 14).

[3] Nel vangelo degli Ebrei sta scritto che quando Cristo volle venire sulla terra, dagli uomini, Dio Padre chiamò nei cieli una validissima forza di nome Michele e affidò Cristo alla sua cura. La forza venne giù nel mondo e fu chiamata Maria e per sette mesi Cristo restò nel suo seno. Dopo la nascita, crebbe in statura, scelse gli apostoli... Dopo che fu innalzato sulla croce, il Padre lo prese in cielo con sé.

Cirillo domandò: "Dove, nei quattro vangeli, - detto che la santa vergine Maria madre di Dio - una forza?". Il monaco rispose: "Nel vangelo degli Ebrei". Allora Cirillo domandò: "Sono forse cinque i vangeli? Qual - il quinto?". Il monaco rispose: "E' il vangelo che fu scritto per gli Ebrei". (E.A.W. BUDGE, Miscellaneous Coptic Texts, London 1915 [60], 637).

Origene - [4] Se uno accetta il vangelo secondo gli Ebrei, resterà perplesso, giacché qui lo stesso Salvatore afferma: "Poco fa mia madre, lo Spirito santo, mi prese per uno dei miei capelli e mi trasportò sul grande monte Tabor" (ORIGENE, In Johan., 2, 6 e In Jerem., 15, 4).

[5] In un certo vangelo secondo gli Ebrei, se uno vuole accettarlo non come un'autorità, ma come delucidazione della presente questione, sta scritto: "Un altro ricco gli domandò: "Che cosa debbo fare di bene per vivere?". Gli rispose: "Uomo, pratica la Legge e i Profeti". Gli rispose: "L'ho fatto!". Gli disse: "Va', vendi tutto quanto possiedi, distribuiscilo ai poveri, poi vieni e seguimi". Ma il ricco iniziò a grattarsi la testa. Non gli andava! Il Signore gli disse: "Come puoi dire di avere praticato la Legge e i Profeti? Nella Legge sta scritto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. E molti tuoi fratelli, figli di Abramo, sono coperti di cenci e muoiono di fame, mentre la tua casa - piena di molti beni: non ne esce proprio nulla per quelli!". E rivolto al suo discepolo Simone, che sedeva presso di lui, disse: "Simone, figlio di Giovanni, - più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli"" (ORIGENE, In Math., 15, 14, solo testo lat.).

Eusebio - [6] Dato che il vangelo scritto in caratteri ebraici, pervenuto nelle nostre mani, commina il castigo non contro colui che ha nascosto (il talento), ma contro colui che ha condotto una vita licenziosa - aveva, infatti, tre servi: uno ha sperperato le sostanze del suo signore con le prostitute e donne di piacere, l'altro le fece fruttificare, ed il terzo nascose il talento; di questi, uno fu lodato, un altro rimproverato e il terzo messo in prigione -, mi sorge dunque la domanda se il castigo, che secondo Matteo sembra comminato contro colui che non ha fatto nulla, non sia da riferire a costui bensì, secondo la regola del regresso, a quello che ha mangiato e bevuto con gli ubriaconi (EUSEBIO DI CES., Theoph., 4, 12).

[7] Egli (Gesù C.) stesso ha insegnato quale sia, nelle famiglie, il motivo del formarsi delle divisioni tra le anime, come abbiamo trovato in qualche parte del vangelo (diffuso) tra gli Ebrei in lingua ebraica, ove - detto: "Mi sono scelto i migliori. I migliori sono coloro che mi ha dato il Padre mio che - nei cieli" (EUSEBIO DI CES., Theoph., 4, 12).

Gerolamo - [8] Come leggiamo pure nel vangelo ebraico, il Signore disse ai discepoli: "Non siate mai lieti, se non quando guardate con amore il vostro fratello" (GEROLAMO, In Eph., 5, 4).

[9] Ma chi legge il Cantico dei cantici e comprende che lo sposo dell'anima - il Verbo di Dio, e ha fiducia nel vangelo secondo gli Ebrei, che recentemente ho tradotto, non avrà difficoltà a riconoscere che il Verbo di Dio procede dallo Spirito e che l'anima, sposa del Verbo, ha una suocera, cio- lo Spirito santo che presso gli Ebrei - di genere femminile, ruah; là, infatti, il Salvatore dice di sé: "Poco fa mia madre, lo Spirito santo, mi ha preso per uno dei miei capelli" (GEROLAMO, In Mich., 7, 6).

[10] Dopo la risurrezione del Salvatore, anche il vangelo detto secondo gli Ebrei, recentemente tradotto da me in lingua greca e latina e del quale fa spesso uso Origene, afferma: "Dopo aver dato il sudario al servo del sacerdote, il Signore andò da Giacomo e gli apparve". Giacomo infatti aveva assicurato che, dal momento in cui aveva bevuto al calice del Signore, non avrebbe più preso cibo fino a quando non l'avesse visto risorto dai dormienti. E poco dopo (prosegue): "Portate la tavola e il cibo" dice il Signore. E subito - detto: "Prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e diede a Giacomo il Giusto, dicendo: "Fratello mio, mangia il tuo pane, poiché il figlio dell'uomo - risorto dai dormienti"" (GEROLAMO, De viris ill., 2),

[11] Ignazio... scrivendo... ai cittadini di Smirne, propriamente a Policarpo, adduce sulla persona di Cristo, una testimonianza che si trova nel vangelo da me recentemente tradotto. Dice: "Io l'ho visto in carne dopo la risurrezione e sono convinto che vive. E quando venne da Pietro e da quelli che si trovavano con Pietro, disse loro: "Ecco, toccate e vedete che non sono un demone incorporeo". Essi subito toccarono e credettero" (GEROLAMO, De viris ill., 16).

[12] Nel vangelo usato dai nazarei ed ebioniti, che recentemente ho tradotto dalla lingua ebraica in greco e che da molti - detto l'autentico (vangelo) di Matteo, quest'uomo dalla mano secca - detto muratore e prega con queste parole: "Ero muratore e mi procuravo il cibo con le mani. Ti prego Gesù, di restituirmi la salute affinché non debba mendicare vergognosamente il cibo" (GEROLAMO, In Math., 12, 13).

[13] Ma nel vangelo secondo gli Ebrei, scritto in ebraico e letto dai nazarei (- detto): "Discenderà su di lui tutta la fonte dello Spirito santo". Il Signore -, infatti, Spirito e dove c'- lo Spirito di Dio quivi c'- libertà... Dunque nel vangelo da me sopra menzionato, trovo scritto: "Avvenne che quando il Signore salì dall'acqua, discese e si posò su di lui tutta la fonte dello Spirito santo, e gli disse: "Figlio mio, in tutti i profeti aspettavo che tu venissi per riposarmi in te. Tu sei, infatti, il mio riposo, tu sei il mio figlio primogenito che regna per sempre"" (GEROLAMO, In Is., 11, 2).

[14] Nel vangelo secondo gli Ebrei scritto in lettere ebraiche ma in lingua caldea e siriaca del quale a tutt'oggi si servono i nazarei, che molti ritengono (sia) secondo gli apostoli, altri secondo Matteo ed - conservato nella biblioteca di Cesarea, - detto: "Ecco, la madre del Signore e i suoi fratelli gli dicevano: "Giovanni Battista battezza per la remissione dei peccati, andiamo a farci battezzare da lui". Ma rispose loro: "Che peccati ho fatto io per andarmi a fare battezzare da lui? A meno che quanto ho detto sia ignoranza"" (GEROLAMO, Contra Pelag., 3, 2).

[15] Nella stessa opera (vangelo secondo gli Ebrei), si legge: "Se tuo fratello con la parola ha peccato contro di te e poi ti avrà dato soddisfazione, accoglilo sette volte al giorno. Simone, suo discepolo, gli domandò: "Sette volte al giorno?". Il Signore rispose e gli disse: "Sì, ti dico fino a settanta volte sette. E, infatti, anche nei profeti, dopo che erano stati unti dallo Spirito santo, si trovò qualcosa di peccaminoso"". (GEROLAMO, Contra Pelag., 3, 2).

[16] Nel vangelo secondo gli Ebrei che sogliono leggere i nazarei, tra i più grandi peccati c'è: "Affliggere lo spirito del proprio fratello" (GEROLAMO, In Ez., 18, 7)

[17] Nel vangelo ebraico secondo Matteo, così si legge: "Dacci oggi il nostro pane di domani" e cio- dacci oggi quel pane che ci darai nel tuo regno (GEROLAMO, Tract. in Ps., 135).

[18] Nel vangelo che spesso ho menzionato, leggiamo che (non il velo del tempio) ma "l'architrave del tempio, d'infinita grandezza, si spezzò e divise" (GEROLAMO, In Math., 27, 51)

[19] Nel vangelo scritto in lettere ebraiche leggiamo che non - il velo del tempio che s'- stracciato ma che fu: "l'architrave del tempio a cadere, ch'era di una grandezza straordinaria" (GEROLAMO, Epist., 120, 8).

Altri - [20] Questi otto giorni dopo la pasqua, nella quale risorse il Figlio di Dio, sono sul tipo degli otto giorni dopo il ritorno della festa, quando sarà suscitata la discendenza di Adamo, come - detto nel vangelo degli Ebrei. Credono dunque i dotti che il giorno del giudizio avverrà nella pasqua poiché in quel giorno Cristo - risorto, affinché nello stesso giorno risorgano anche i santi (Dal cod. Vaticano Regin. lat., 49).

[21] Il vangelo secondo gli Ebrei dice, infatti: "Giuseppe drizzò i suoi occhi e vide una folla in cammino diretta verso la grotta, e disse: "Mi alzo e le vado incontro". Ma non appena Giuseppe era uscito, disse a Simone: "Mi pare che questi che vengono siano degli indovini. Osserva con quale sguardo mirano in cielo, come si consultano e parlano l'un l'altro. Ma sembra pure che siano degli stranieri: il loro aspetto - diverso dal nostro; i loro vestiti sono molto ricchi; il loro colorito - molto scuro; le loro gambe hanno i calzoni. Guarda, si sono fermati e guardano verso di me; ora si sono messi nuovamente in movimento e stanno venendo qui"". Da queste parole si deduce chiaramente che non si trattava solo di tre uomini, ma di una folla di viandanti che si recava dal Signore, sebbene, secondo alcuni, tre fossero le guide più nobili, cio- Melco, Caspare e Fadizarda (SEDULIUS SCOTUS, citato in "Sacris erudiri", 6 [1954], 203-204).

[22] (Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno)... Come - detto nel vangelo dei nazarei, a queste parole del Signore si convertirono molte migliaia di Ebrei che stavano attorno alla croce (HAIMO DI AUXERRE, nel Comm. a Is 53, 12: PL 116, 994).

[23] (Padre perdona loro...). Osserva che nel vangelo dei nazarei si legge che a queste pie parole di Cristo, si convertirono più tardi ottomila persone: tremila il giorno di Pentecoste, come - detto negli Atti degli apostoli, e cinquemila più tardi, dei quali pure parlano gli Atti degli apostoli (Da Historia passionis Domini, fol. 55 r.).

[24] Nei libri dei vangeli usati dai nazarei si legge: "Dai suoi occhi si sprigionavano raggi dai quali furono spaventati e fuggirono" (Da Bibbia Aurora di Petrus de Riga).

[25] Il vangelo dei nazarei riferisce come l'angelo abbia incoraggiato Cristo nella preghiera dell'agonia...: "Sii costante, Signore, ora - infatti giunto il tempo nel quale, per mezzo delle tue sofferenze, il genere umano, che in Adamo era stato venduto, sarà riscattato" (Da Historia passionis Domini, fol. 32 r.).

[26] Nel vangelo dei nazarei - spiegato perché Giovanni era conosciuto dal sommo sacerdote: "Figlio del povero pescatore Zebedeo, spesso aveva portato il pesce nel palazzo di Anna e Caifa. Giovanni andò dalla portinaia e da lei ottenne che fosse lasciato entrare il suo compagno Pietro, che stava piangendo forte davanti al portone" (Da Historia passionis Domini, fol. 35 r.).

[27] Nel vangelo ebraico si legge così: "Se voi che, pure siete sul mio petto, non eseguite la volontà del Padre mio che - in cielo, io vi scaccerò dal mio petto" (Variante dal vangelo ebreo, in Mt 7, 5).

[28] Colui che ha inventato questo battesimo adultero, o meglio letale, -... soprattutto quel libro intitolato Predicazione di Paolo. In esso, contro tutte le scritture, troverai Cristo che confessa il proprio peccato - lui che non ne ha mai commesso! - e che quasi a malincuore e solo perché spinto da sua madre Maria va a ricevere il battesimo di Giovanni; che mentre era battezzato, sopra l'acqua fu visto del fuoco - il che non - scritto in alcun vangelo -; ed ancora che Pietro e Paolo dopo la predicazione del vangelo a Gerusalemme, dopo essersi scambiate le idee, dopo avere litigato e trattato la linea da seguire, finalmente, dopo tanto tempo, si incontrarono nell'Urbe come se fosse la prima volta che si vedevano; in questo libro troverai queste ed altre cose riunite in maniera assurda e ignominiosa (PS.-CIPRIANO, De rebaptis., 17).


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